30/04/13

LA CINA E' VICINA? AIUTOOOOOOOOOOOOOOOOO

Facciamo i giornalisti seri, e partiamo dai fatti. Il 10 aprile leggo come tutti i giorni "la Repubblica", il mio giornale preferito. E cosa trovo? Sparato a caratteri cubitali "La Cina è vicina", con tanto di giochino grafico con una grande C che s'incastra nel resto del titolo.
Vuol dire che ci hanno creduto, che dopo trent'anni dallo sbarco della Biagiotti laggiù (e tutti i giornali titolarono nella stessa maniera sicuri di essere molto brillanti) c'è ancora qualcuno che crede di fare lo spiritoso e, soprattutto, di avere un'idea strana e nuova scrivendo il suddetto titolo. Mi rendo conto che spesso si è di fretta, che a volte non c'è l'illuminazione, ma come si fa? Comunque da allora colleziono cine vicine da tutti i giornali: ho centinaia di ritagli che ho deciso di cestinare per evitare la nausea. E cosa succede? Nemmeno una settimana dopo, il 15 aprile, ecco che Repubblica strilla ancora "manager, la Cina è diventata più vicina". Ho vomitato e cestinato, non voglio più saperne.
E, visto che siamo sempre più lontani dalla fantasia, ecco qualche suggerimento per titolisti a corto di invenzioni (ovvio che quelli del Manifesto e del Vernacoliere non hanno bisogno di vademecum).


La Cina in cucina, per un articolo sui ristoranti mandarini.

La Cina è piccina, per promuovere un tour di una settimana laggiù.

La Cina macina, per sottolineare la laboriosità locale.

La Cina vaccina, per raccontare della sanità.

La Cina fa la vocina, per parlare dei dissidenti di cui qui non sappiamo mai niente.

La Cina è una fucina, per descrivere il boom industriale.


La Cina è marcina, per denunciare la corruzione locale.

Cina & forcina, per dare gli indirizzi dei parrucchieri cinesi che ti fanno lavaggio, taglio e piega a otto euro (le amiche si portano da casa shampoo e balsamo perché non si fidano, ma ci vanno).

Cina porcina, per un'inchiesta sul sesso.

Cina mancina, per avvertire chi ha intenzione di fare business che dei cinesi non ci si può fidare, sono furbissimi.

La Cina ha il mal di pancina, per spiegare come la globalizzazione ha portato anche là il junk food con tante conseguenze dolorose (nel vero senso della parola) per la dieta una volta sana fatta di riso e poco altro.

La Cina fa la doccina, visto che con il boom economico sempre più cinesi, finalmente, hanno il bagno in casa.

Cina micina, per spiegare la tattica di allettante avvicinamento a ogni dove (i cinesi si stanno comprando tutto, dall'Africa ai bar nostrani).

La Cina fa la focaccina, sempre più pizzerie sono in mano ai cinesi.

Cina: ecco la decina, vale per qualsiasi top ten, musica, ristoranti, politici, attori, oggetti dei desideri, consumi, uomini ricchi, donne belle, potenti, luoghi...

Cina Muccina, se il regista dopo Hollywood ha intenzione di fare danni anche a Hengdian.

Cina arancina, un pezzo di moda se va di moda l'arancione.

Cina aureomicina, sugli scandali della sanità.

La Cina vuole la bollicina, sulla mania dei nuovi ricchi cinesi per lo Champagne (o la Coca-Cola).

Cina autofficina, su un altro boom, quello delle automobili, dopo anni di bicicletta è una vera rivoluzione.

Dalla Cina la canzoncina, se mai arriverà un tormentone dance che farà impazzire il web.

Cina: carneficina, sperando di non doverlo usare mai.

La Cina mette la coroncina, reportage dal primo concorso di bellezza cinese.

La Cina fa la crosticina, ricette di cucina per lasagne copiate.

La Cina è felicina, mai troppo, però, visto che è una dittatura.

La Cina mangia la fettuccina, per un ricettario di pastasciutta.

La Cina lancia una freccina, così, giusto per far finta di volere buoni rapporti con i paesi vicini.

La Cina usa la forbicina, per spiegare i piccoli tagli agli stipendi già da fame o per parlar bene dei sarti locali che sono bravissimi.

La Cina diventa un'iconcina, scegliete voi di cosa.

La Cina tira la cordicina, ovvero ci siamo rotti le palle di lacinaèvicina.

02/04/13

L'insostenibile pesantezza di certe parole

Io non ce la faccio proprio a sentire certe cose. Liberi tutti, ovvio, di esprimersi come vogliono.
Ma le stonature fanno male alle orecchie

Parola numero uno: bentrovati
Ma che cosa è successo ai conduttori televisivi? Come mai iniziano la trasmissione con "bentrovati"? Non è un saluto, non è un invito, non è niente. Non è sempre, comunque sicuramente più, elegante signore e signori buonasera (o buongiorno buonpomeriggio buonanotte)? Lo sappiamo, in questi tempi di crisi c’è poco di buono ma mi chiedo: se mi dici bentrovato si presuppone che io mi sia perso da qualche parte. Il che è anche vero ma non mi va di farlo sapere a tutti. E non è che le notizie del Tigì o le risposte delle interviste mi aiutino a trovarmi, anzi. Nel novanta percento dei casi mi confondono di più: o m’incasinano le tante informazioni, o le risposte non sono all’altezza o il mondo va a rotoli e tu ti preoccupi e ti riperdi. E poi io vedo te ma tu non vedi me. Come fai a sapere che sto bene, che ho, come diceva il nonno, una bella cera? lascialo dire al me, tuttalpiù, se ti trovo bene. E come la mettiamo dopo la pausa pubblicità (sempre il nonno la chiamava réclame, magnifica parola)? Benritrovati, mi dicono. E qui convengo: mi sono persa correndo su e giù per i tornanti a bordo dell’ultimo bolide, mi viene nostalgia degli assorbenti visto che fra un po’ sarò in menopausa, e mi ritrovo prigioniera del muco (adoro questo spot dell’assurdo) quindi benvenga qualsiasi principe azzurro che mi ritrovi, me ne liberi (dal muco) e mi porti via. Però mi sento di dissentire. Quindi buonanotte.

Parola numero due: quantaltro
No comment. Dico solo: smettetela.

Parola numero tre: anche-no (e la variante anche-sì)
O è sì o è no. D’accordo, è un rafforzativo. E faccio ammenda: i ho usato anche no persino in uno strillo di copertina. Ma non lo usava nessuno, è stato un po’ come quando ho scritto che il tubino maculato sta bene a tutti. Ho informato su una tendenza, in molte ci hanno creduto e ho fatto danni. Me ne scuso, starò più attenta in futuro. Ma anche-no, non si può proprio sentire, e dire.

Jonathan Pierini, "Anche dire italiano non ha più molto senso", Poster 70x100 cm, stampa digitale


Parola numero quattro: tantaroba
Normalmente ti dicono che sei tantaroba e tu pensi subito al tuo peso e alla ciccia, invece vorrebbe essere un complimento, vuol dire che sei intelligente. Oppure ti dicono che sei tantaroba, quindi troppo per qualsiasi uomo che s’intende cerebroleso quindi mai alla tua altezza. La senti spesso, tantaroba, all’uscita del cinema. E non capisci mai se il film gli è piaciuto. Per me tantaroba è quello che ho in casa, visto che sono un’accumulatrice, e nei miei armadi, vergognosi (qui vi faccio una foto così, giusto un assaggino). L’unica tantaroba che mi piace sta su una tavola imbandita con ogni bendidio.

Parola numero cinque: allevolte
Lo usa qualcuno al posto d cioè. Mi piaceva di più cioè.

Parola numero sei: dettociò
(con le varianti ciodetto e dettoquesto)
Mi rendo conto che nella lingua parlata non c’è il punto e a capo però non serve tutte le volte ribadire il concetto in questo modo: qualsiasi discorso sembra un preambolo, e non si arriva mai alla conclusione. O, peggio, il finale sarà sempre deludente se il ciò detto, in realtà, è il succo del discorso. Dettoquesto, non parlo più.

ps credo di essere l’unica a conoscere una persona che dice ancora "ciao bella gioia" (era di moda nel 1973 e lo sa chi ricorda Cochi e Renato ne "Il Poeta e il contadino"); anche se ci piace tanto usare l’inglese (non a me ma a tutti quelli che incontro) basta con questo less-is-more, ma anche con never-say-never (che mi piace un sacco): io non mi metterò mai una pinza in testa, per esempio. E lo sottoscrivo. E quando ti dicono sta’ serena (la variante atroce è tranqui che si legge tranchi)? Divento pazza. Ma mai come quando leggo sui giornali che la Cina è vicina: negli ultimi vent’anni sarà successo migliaia di volte. E allora, qui lo dico e qui lo nego come fanno in molti ma non io, vi saluto con un ciao cara