28/05/13

Specchio specchio delle mie brame...

Qui la questione non è sapere chi è la più bella del reame che comunque non sono io; qui il fatto è ammettere che non c’è niente da fare: quando si passa davanti a uno specchio lo sguardo è attratto. Diventiamo tutti allodole, anche chi nega. È come se fosse un riflesso incondizionato. Che si tratti di un vero specchio o di una vetrina impossibile che il primo istinto non sia quello di girarsi e di guardarsi, magari senza vedersi. Non dico che lo si faccia sempre per edonismo.

 Di certo io tutte le volte che lo faccio poi ci vedo qualcosa che non mi piace. Io tutta intera, per esempio. Ho sempre qualcosa di sbagliato. Sarà che in casa non posseggo uno specchio dalla testa ai piedi quindi mi vedo solo a fette. Per avere una visione d’insieme devo andare in ascensore, il che non è praticissimo. Soprattutto per i miei vicini di casa. C’è da dire un’altra cosa a questo proposito: una parte del mio guardaroba sta nel solaio, quindi mi tocca andare su e giù molto spesso e malvolentieri. Ultimamente ho cambiato un po’ l’assetto.

E’ successo quando, in mutande, ho incontrato un mio anziano vicino di casa. E’ andata così: mi sono vestita di tutto punto, con camicia e giacca molto executive, scarpe stringate e calzettoni. Ma i pantaloni stavano lassù. Per non perdere tempo ho preso il borsone del lavoro e sono salita in solaio. E chi t’incontro per le scale? Il signor Carletti che, gentilissimo come al solito, buongiorno e quattro chiacchiere. Io ho cercato in mille modi di nascondere le gambe e con gran nonchalance visto che il mio interlocutore sembrava non accorgersi di nulla, ho fatto finta di niente. Alle sei del pomeriggio rientro e chi t’incontro? Il signor Carletti. Buonasera buonasera e mi scusi per stamattina che ero un po’ in mutande. E lui: ma si figuri, noi qui siamo abituati a vederla stravagante ma sappiamo che lavora nella moda, pensavo che si usasse così. Sono rimasta di stucco. Avrei potuto tranquillamente uscirmene in mutande e passare inosservata. Devo pensare a altre strategie per farmi notare.

E, tornando allo specchio dell’ascensore, lo uso solo vestita di tutto punto, quando non c’è più niente da fare perché sono già fuori casa e non c’è errore di look che tenga per farmici tornare e scaravoltare tutto. Buona la prima, per quel che mi riguarda. Forse è proprio perché davanti allo specchio ci passo pochi secondi visto che non ne ho uno serio che quando ne vedo uno mi casca l’occhio: è come se mi notassi per la prima vota in tutta la mia altezza (e larghezza). E in bagno, direte voi? Ho solo specchi vecchi ereditati dalla famiglia. Bellissimi non c’è che dire ma sono un po’ bronzati, pieni di macchie del tempo. Non capisci mai il colore della pelle e ti vedi a chiazze. Non possono fare testo. Per me vanno bene, visto che non mi trucco e adoro il rossetto sbavato. Ora che ci penso uno specchio lungo c’è, è quello sulla porta in cucina ma è diviso a scacchi quindi ti vedi come in un caleidoscopio il che non è esattamente funzionale. Ora che mi ci fate pensare forse la stravaganza di cui tutti mi accusano non dipende da un’attitudine personale ma da una totale mancanza di coscienza di un sé estetico dettata da un problema reale con gli specchi. La cosa non è ereditaria visto che quando abitavo in famiglia c’era un grande specchio in corridoio a uso di tutti noi, mamma, babbo e sorelle. Mia madre era formidabile davanti allo specchio: faceva le prove di camminata, tratteneva il respiro per sembrare più magra, si cotonava i capelli, faceva certe facce quando si truccava. Ci passavo le ore davanti allo specchio con lei, solo come spettatrice. Poi ho smesso. Ma se sono in giro con il mio iPad fuori dalla custodia non resisto e mi fotografo. Autoritratti un po’ scemi ma che mi divertono moltissimo.

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