Amo le persone educate.
Purtroppo sembra che la buona educazione da regola base sia diventata tabù. Nel senso che ormai in giro è pieno di gente maleducatissima. Il risultato è che diventi schizzinosa anche se non lo sei. E che ti scandalizzi come una vecchietta anche se di norma sei di quelle che non le tocca nulla, figuriamoci qualche strappo alle buone maniere. Eppure divento pazza se qualcuno mi passa davanti in coda dal salumiere (credo che il mio sia l’unico rimasto al mondo che non consegna i numerini, lui sì che è un fiducioso dell’educazione); non sopporto chi parcheggia abusivamente nel posto degli handicappati; non reggo chi urla nel telefono quando si viaggia in treno. Di cose così potrei elencarne e a dozzine. Eppure… a volte invidio la libertà dei maleducati. Mi hanno insegnato che non si parla mai di soldi, e va a finire che non ti paga nessuno, e di sesso, e su questo sono d’accordo, meglio farlo che raccontarlo. Sono cresciuta con la convinzione di dover diventare una donna indipendente e cosa succede? Tocca a te pagare il conto, portarti le valige pesanti, guidare nella notte, non accettare un passaggio per non portare fuori strada e così farti chilometri a piedi. Altro elenco infinito. Evidentemente soffro di un tabù: quello del silenzio. Forse mi confondo, e la buona educazione non c’entra nulla col tacere quando invece bisognerebbe parlare. È che scatta una sorta di timidezza, il non voler offendere. O, più semplicemente, ci sono episodi che ti lasciano annichilita e ti tolgono le parole. Ecco qualche esempio.
Esempio numero uno
Mi chiama questo tizio, a dire il vero simpaticissimo, e mi invita fuori. Dove andiamo? Chiedo io. Potremmo fare un cinemino e prima, visto che siamo a stomaco vuoto, ti porto a mangiare un panino buonissimo. Ok, è fatta. Viene a prendermi, mi citofona, mi aspetta al portone, mi apre lo sportello (mi viene sempre in mente la tremenda canzone di Baglioni “Tu come stai” in cui lui si chiede chi apre ora lo sportello alla sua ex, è una parola orrenda per una canzone romantica), mi fa scegliere il film. Direi un signore. Tutto perfetto, ma cosa ordina? Panino con la cipollata. Al momento non ci ho fatto caso, ma provate voi a stare seduto al cinema di fianco a uno che ha appena mangiato un chilo di cipolle. Per fortuna non avevo nessuna intenzione di baciarlo. E per mia sfortuna non ho avuto il coraggio di dire niente e di spostarmi di un paio di poltrone. Non mi sembrava carino. Risultato, appena usciti in strada gli ho vomitato sui piedi. Oggi è uno dei miei migliori amici. Morale della favola: se avessi parlato mi sarei evitata una figura di merda, ma forse non avrei trovato un amico (e si sa, per noi ragazzi degli anni Sessanta, chi trova un amico trova un tesoro).
Esempio numero due
Da ragazzina ero molto carina, avevo un sacco di spasimanti, ero simpatica, molto perbene, buffa e educatissima. E poi, a vedermi oggi non si direbbe, andavo a scuola dalle suore. Anche dieci anni dopo ero un po’ meno carina, avevo ancora molti spasimanti, ero simpatica, sempre molto perbene, ancora più buffa e educatissima come da copione. E i ragazzi si prendevano della gran cotte, ma, al momento di concludere mi dicevano che io ero una ragazza da sposare, non da scopare. La mia educazione, buona ma un po’ bacchettona, mi ha portato a credere per anni che fosse un complimento. Col senno di poi mi sento offesissima, avrei dovuto mandare a quel paese i rispettosissimi maschi che non gradivano. Oppure dire che si sbagliavano, che non avevo nessuna intenzione di sposarmi (mai) ma nemmeno di morire vergine. Pazienza, in fondo sono ancora di quelle che il sesso solo con chi si ama.
Morale della favola: non mandate le vostre figlie dalle suore e lasciate che facciano un po’ come gli pare, con parsimonia.
Esempio numero tre
Avevo questo amatissimo fidanzato, un po’ bastardo in verità. Non tirchio (non ho mai pagato un conto al ristorante o un pieno di benzina). Direi piuttosto attento. Comunque questo signore mi regala un paio di sci per Natale e venti giorni dopo, per il mio compleanno, si presenta con un pacchetto. Lo apro: dentro, una sacca per scarponi vuota. Tesoro, mi dice, come sai gli scarponi vanno provati, non mi sono arrischiato a comprarteli io per non sbagliare. Ha ragione, chiunque scia sa bene che nessuno può azzeccare gli scarponi di qualcun altro. Così il weekend successivo si va in montagna. Mi porta nel negozio di un suo amico, mi fa provare una serie di scarponi e insiste perché scelga i più cari. Io, appunto vittima della mia educazione, nicchio, cerco di non fargli spendere troppi soldi. Alla fine accetto. E’ il suo regalo, mi dico, se ci tiene tanto per me va bene. Arriviamo alla cassa e, indovinate un po’ chi ha pagato? La sottoscritta, stupida e cretina. Il mister generosità si era completamente dimenticato che quello era il suo regalo. E io non ho avuto il coraggio di ricordarglielo.
Morale della favola: fatevi pagare, sempre e comunque, tutti i conti, senza vergogna.
Esempio numero quattro
Ai tempi del liceo davo ripetizioni di latino e greco (un imbrioglio, ero una bestia a scuola, ma sono riuscita a far promuovere bestie più bestie di me) e facevo la baby sitter. Mi capitava di dormire a casa dei miei baby perché i genitori spesso erano via per lavoro. Un giorno rientrano da un viaggio all’estero presto al mattino e facciamo colazione tutti assieme. Io a quell’ora mangio solo due yogurt. Quindi ci sediamo a tavola e io mi ficco in bocca una cucchiaiata di yogurt: rancido. Credevo di morire. Ho fatto finta di niente e ho ingurgitato il resto cercando di sorridere e di non sputarlo nel piatto. Ho lasciato stare il secondo vasetto così se lo prende la ragazzina a cui insegnavo il latino, ne assaggia uno zic e si mette urlare che schifo! Infatti era scaduto da un mese. A quel punto si sono girati tutti verso di me con aria interrogativa e io: il mio era buonissimo. Devono avere pensato che fossi pazza o soffrissi di una grave deficienza gustativa. Insomma, l’ennesima figura da fessa.
Morale della favola: mangiate sempre e solo quello che vi piace, liberatevi dal tabù di dire sempre sì.
Di contro, sono una gran chiacchierona. Sono curiosa, mi piacciono le vite degli altri. E, se e quando posso, me le faccio raccontare. Certo, la cosa può avere delle controindicazioni. Come quella volta su un taxi. Salgo e il tassista è un trentenne direi normale con un orrendo taglio di capelli e un ancor più orrendo giubbotto. Com’è come non è, finiamo con lui che mi chiede un parere: secondo lei perché le donne sono tutte stronze? Mi chiede. E mi fa l’esempio di una sua uscita con una ragazza che gli piaceva un sacco e bla bla bla ma poi non ha concluso nulla. Insomma, lì non ce l’ho proprio fatta e ho dovuto dirgli di cambiare pettinatura e di mettersi, magari, una bella giacca. Insomma, mi è toccato accompagnarlo dal barbiere e a comprarsi dei jeans nuovi. Gli ho rifatto il look, sono arrivata in ritardo al mio appuntamento ma non ho pagato la corsa.
Morale della favola: non so se è meglio tacere o parlare.
Sicuramente è molto più divertente ascoltare. E contravvenendo alla buona educazione di cui sopra, io ascolto sempre i discorsi dei vicini: tram e ristoranti sono i luoghi migliori dove farsi gli affari altrui. Così mi succede di fare delle figure tremende con gli amici a cena (tanto con loro si parla sempre delle stesse cose, se per una volta non ci sono pur essendo seduta lì non cambia molto) che però poi godono dei miei racconti. E mi è successo di arrivare fino al capolinea del 23 (dieci fermate dopo la mia) per vedere come andava a finire una conversazione. Il problema e che mi viene sempre voglia di intromettermi, e a volte lo faccio, quando vedo che la situazione lo consente. Dico la mia e sparisco. Morale della favola: molliamolo questo tabù del silenzio, purché non si parli a sproposito.
Ps: perché non ci raccontate di quella volta che avete parlato troppo o non avete parlato affatto?
conosci il film Emotivi anonimi (Les Emotifs anonymes)di Jean-Pierre Améris, secondo me ti piace
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Certo, molto divertente. Ma preferisco Blade Runner. E il mio film resta sempre Ottoemezzo di Fellini.
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